Circolo di Fenomenologia e Costruttivismo


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Indice

Introduzione
1. Il significato. «Che cosa vuol dire?»
Informazione e significato - Significato e Intersoggettività - Interrogazioni e risposte - Significato e linguaggio - L'«eccedenza» del significato - Il significato e la sua misurazione - Un esempio di contro-senso: la misurazione della felicità - La possibilità di una psicologia del significato - La realtà di una scienza senza certezza
2. Le promesse e i limiti del naturalismo
Il dilemma di Wundt - La soluzione di Watson - Watson e il significato - Il trionfo del metodo - La conoscenza scientifica dellepersone - La psicoanalisi: l'ambiguità del significato nascosto - Mente e significato nella psicologia cognitiva - Rappresentazione e significato - Le critiche al cognitivismo
3. La psicologia del significato
La fenomenologia husserliana: un ripensamento radicale della conoscenza scientifica - La fenomenologia come scienza dei significati - La psicologia fenomenologica - Il costruttivismo: conoscere senza metafisica - Vivere e conoscere nella biologia di Maturana - La psicologia dei costrutti personali - Il costruzionismosociale - Ricerca psicologica e mondo della vita - La conoscenza e i neuroni - Scienza e coscienza nella riflessione di Searle - Verso una scienza dell'esperienza: Varela incontra Husserl
Conclusioni
Riferimenti bibliografici

Introduzione
"Molti psicologi ritengono che la psicologia dovrebbe occuparsi di più delle persone nella loro globalità, che dovrebbe concentrarsi di più sulla 'reale esperienza umana'. In un certo senso tutto ciò è comico: è come se i marinai decidessero improvvisamente di doversi interessare alle navi" (Bannister e Fransella, 1971, trad. it. p.21). Che sia comica o no, questa è la situazione che la psicologia sta vivendo negli ultimi decenni; sono in molti, ormai, a manifestare insoddisfazione per i metodi scientifici tradizionali che avevano costituito il requisito essenziale della psicologia fin dalla nascita. Se si consultano le riviste psicologiche degli ultimi anni, ci si accorge di come siano diffusi i richiami alla soggettività, al significato, al contesto concreto in cui si svolge l'esperienza umana e alla relazione intersoggettiva; tutti temi, questi, che, fino a qualche anno fa, trovavano poco spazio nelle ricerche scientifiche. La citazione di Bannister e Fransella, però, ci fa riflettere su un paradosso che merita particolare attenzione: questi argomenti che oggi la psicologia sta riscoprendo sono gli stessi che, di solito, si attribuiscono spontaneamente e immediatamente alla competenza degli psicologi. Quando il senso comune pensa allo psicologo, lo immagina come un esperto dell'esperienza umana, proprio come immagina che i marinai sappiano tutto sulle navi. Lo psicologo, nell'immaginario delle persone comuni, è un esperto di significati. "Che cosa vuol dire questa mia paura?"; "Qual è il significato dei miei sogni?"; "Perché mi succede di sentirmi triste"? "Che cosa si nasconde nei gesti indecifrabili delle persone?". A giudicare dalle domande che si rivolgono usualmente allo psicologo, questi dovrebbe essere qualcuno che, meglio degli altri, conosce i "perché" dell'esperienza umana e li può rendere comprensibili anche agli altri. Almeno per il senso comune, dunque, può sembrare assurdo affermare che la psicologia ha per molto tempo deliberatamente e programmaticamente rifiutato di occuparsi di esperienza e significati. Una volta ho sentito un collega, psicologo affermato, dichiarare con orgoglio, durante un congresso scientifico, che la parola "significato" "non era mai entrata nel suo vocabolario". A questo psicologo va riconosciuto il merito di una rara chiarezza, perché enunciazioni di questo tipo non sono frequenti tra gli "esperti della psiche". Bisogna, infatti, risalire ai suoi fondatori per trovare affermazioni decisive e trasparenti come quella citata. Più spesso, invece, il problema del significato resta velato e irrisolto nelle presentazioni ufficiali della disciplina e nella sua immagine sociale.

"Molti psicologi ritengono che la psicologia dovrebbe occuparsi di più delle persone nella loro globalità, che dovrebbe concentrarsi di più sulla 'reale esperienza umana'. In un certo senso tutto ciò è comico: è come se i marinai decidessero improvvisamente di doversi interessare alle navi" (Bannister e Fransella, 1971, trad. it. p.21). Che sia comica o no, questa è la situazione che la psicologia sta vivendo negli ultimi decenni; sono in molti, ormai, a manifestare insoddisfazione per i metodi scientifici tradizionali che avevano costituito il requisito essenziale della psicologia fin dalla nascita. Se si consultano le riviste psicologiche degli ultimi anni, ci si accorge di come siano diffusi i richiami alla soggettività, al significato, al contesto concreto in cui si svolge l'esperienza umana e alla relazione intersoggettiva; tutti temi, questi, che, fino a qualche anno fa, trovavano poco spazio nelle ricerche scientifiche. La citazione di Bannister e Fransella, però, ci fa riflettere su un paradosso che merita particolare attenzione: questi argomenti che oggi la psicologia sta riscoprendo sono gli stessi che, di solito, si attribuiscono spontaneamente e immediatamente alla competenza degli psicologi. Quando il senso comune pensa allo psicologo, lo immagina come un esperto dell'esperienza umana, proprio come immagina che i marinai sappiano tutto sulle navi. Lo psicologo, nell'immaginario delle persone comuni, è un esperto di significati. "Che cosa vuol dire questa mia paura?"; "Qual è il significato dei miei sogni?"; "Perché mi succede di sentirmi triste"? "Che cosa si nasconde nei gesti indecifrabili delle persone?". A giudicare dalle domande che si rivolgono usualmente allo psicologo, questi dovrebbe essere qualcuno che, meglio degli altri, conosce i "perché" dell'esperienza umana e li può rendere comprensibili anche agli altri. Almeno per il senso comune, dunque, può sembrare assurdo affermare che la psicologia ha per molto tempo deliberatamente e programmaticamente rifiutato di occuparsi di esperienza e significati. Una volta ho sentito un collega, psicologo affermato, dichiarare con orgoglio, durante un congresso scientifico, che la parola "significato" "non era mai entrata nel suo vocabolario". A questo psicologo va riconosciuto il merito di una rara chiarezza, perché enunciazioni di questo tipo non sono frequenti tra gli "esperti della psiche". Bisogna, infatti, risalire ai suoi fondatori per trovare affermazioni decisive e trasparenti come quella citata. Più spesso, invece, il problema del significato resta velato e irrisolto nelle presentazioni ufficiali della disciplina e nella sua immagine sociale. La psicologia è stata definita per molto tempo "come scienza del comportamento dell'uomo e degli animali", ma la parola "comportamento" è ambigua, se non si ricorre alle definizioni rigorose di Watson e dei suoi seguaci, perché il senso comune può attribuirle quei connotati intenzionali che esso sembra assumere nella vita quotidiana e che rimandano ad una dimensione "interna" e significativa. Del resto, anche tra gli studiosi la questione non è stata mai del tutto chiarita. Il comportamento, si legge in un manuale, deve essere inteso come: "l'attività di modificazione del rapporto con l'ambiente: ad esempio le risposte muscolari, ghiandolari dell'individuo agli stimoli esterni e le azioni finalizzate intenzionalmente al raggiungimento di uno scopo; -le motivazioni di detta attività, cioè le percezioni, le cognizioni e gli stati affettivi che concorrono a costituire l'esperienza interiore" (Pedon, 1988, p.12). Interno ed esterno, psiche e soma sono compresi nella competenza di una disciplina che, per essere così definita, non può che lasciar adito ad equivoci e ad attese sproporzionate alle risposte. In realtà, la psicologia, come qualsiasi altra scienza, ha dovuto porsi pesanti limitazioni nell'affrontare lo studio dell'esperienza umana e la prima di queste limitazioni è stata la rinuncia al significato, radicata nella sua stessa fondazione come impresa scientifica. In questo libro si cercherà di ripercorrere e di analizzare le ragioni di tale rinuncia e le opposte ragioni degli psicologi che, soprattutto nell'ultima generazione, hanno tentato di riproporre "la ricerca del significato" come tema specifico della psicologia. L'intento è di mostrare come questo programma di ricerca nasca dal fondamentale rifiuto della tradizione e da una decisa presa di posizione che può finalmente sciogliere l'ambiguità e i fraintendimenti circa l'oggetto della psicologia e le possibilità di conoscenza che essa può consentire. I protagonisti di questa "rivoluzione" si riconoscono in un epistemologia e in una concezione del mondo antitetiche a quelle del naturalismo, da cui aveva preso le mosse la scienza psicologica alla fine dell'Ottocento, anche se le idee cui il nuovo corso si ispira non sono del tutto nuove, ma riprendono, anch'esse, una profonda tradizione culturale. Si tratta, in ogni caso, di modi diversi di fare scienza, di modi diversi di pensare. "Questi due modi di pensare – scrive Bruner (1986, trad. it., p.17) - pur essendo complementari, sono irriducibili l'uno all'altro. Qualsiasi tentativo di ricondurli l'uno all'altro o di ignorare l'uno a vantaggio dell'altro produce inevitabilmente l'effetto di farci perdere di vista la ricchezza e la varietà del pensiero". La presentazione di queste nuove tendenze in psicologia terrà conto di questa impostazione del problema, suggerita da Bruner: la radicale diversità delle prospettive deve essere mantenuta per conservare il senso più autentico e profondo delle proposte conoscitive; tuttavia sarebbe sviante leggerle soltanto come poli di un'opposizione che deve lasciare sul campo un vinto e un vincitore. Ogni rivoluzione nella storia della cultura può essere meglio compresa se si tiene conto che la realtà da cui si discosta, in quanto considerata insoddisfacente, è la stessa realtà da cui essa prende nascita. E che ogni conoscenza sull'esperienza umana, se non è ideologica, ha bisogno di confrontarsi con una molteplicità di prospettive. Questa, in ogni caso, sembra essere la situazione attuale della psicologia. Da una parte essa appare ancora profondamente lancorata al paradigma naturalistico che vede la realtà come una compatta e regolare presenza esterna all'osservatore, dall'altra questa posizione epistemologica è stata scossa dalle fondamenta in seguito all'affermarsi dei paradigmi costruttivistici che mettono in questione l'oggettività del mondo e richiamano la presenza attiva dell'osservatore in ogni processo di conoscenza. Le conseguenze di questo scontro sono ancora imprevedibili, ma non si può considerare l'opposizione alla stregua di tante altre che la storia della psicologia ha già sperimentato. Non si tratta, infatti, di divergenze tra questa e quella scuola, di differenti teorie su alcuni argomenti o aspetti dell'esperienza. In questo caso l'opposizione investe il modo fondamentale di concepire la conoscenza e gli stessi oggetti di studio.

"Molti psicologi ritengono che la psicologia dovrebbe occuparsi di più delle persone nella loro globalità, che dovrebbe concentrarsi di più sulla 'reale esperienza umana'. In un certo senso tutto ciò è comico: è come se i marinai decidessero improvvisamente di doversi interessare alle navi" (Bannister e Fransella, 1971, trad. it. p.21). Che sia comica o no, questa è la situazione che la psicologia sta vivendo negli ultimi decenni; sono in molti, ormai, a manifestare insoddisfazione per i metodi scientifici tradizionali che avevano costituito il requisito essenziale della psicologia fin dalla nascita. Se si consultano le riviste psicologiche degli ultimi anni, ci si accorge di come siano diffusi i richiami alla soggettività, al significato, al contesto concreto in cui si svolge l'esperienza umana e alla relazione intersoggettiva; tutti temi, questi, che, fino a qualche anno fa, trovavano poco spazio nelle ricerche scientifiche. La citazione di Bannister e Fransella, però, ci fa riflettere su un paradosso che merita particolare attenzione: questi argomenti che oggi la psicologia sta riscoprendo sono gli stessi che, di solito, si attribuiscono spontaneamente e immediatamente alla competenza degli psicologi. Quando il senso comune pensa allo psicologo, lo immagina come un esperto dell'esperienza umana, proprio come immagina che i marinai sappiano tutto sulle navi. Lo psicologo, nell'immaginario delle persone comuni, è un esperto di significati. "Che cosa vuol dire questa mia paura?"; "Qual è il significato dei miei sogni?"; "Perché mi succede di sentirmi triste"? "Che cosa si nasconde nei gesti indecifrabili delle persone?". A giudicare dalle domande che si rivolgono usualmente allo psicologo, questi dovrebbe essere qualcuno che, meglio degli altri, conosce i "perché" dell'esperienza umana e li può rendere comprensibili anche agli altri. Almeno per il senso comune, dunque, può sembrare assurdo affermare che la psicologia ha per molto tempo deliberatamente e programmaticamente rifiutato di occuparsi di esperienza e significati. Una volta ho sentito un collega, psicologo affermato, dichiarare con orgoglio, durante un congresso scientifico, che la parola "significato" "non era mai entrata nel suo vocabolario". A questo psicologo va riconosciuto il merito di una rara chiarezza, perché enunciazioni di questo tipo non sono frequenti tra gli "esperti della psiche". Bisogna, infatti, risalire ai suoi fondatori per trovare affermazioni decisive e trasparenti come quella citata. Più spesso, invece, il problema del significato resta velato e irrisolto nelle presentazioni ufficiali della disciplina e nella sua immagine sociale. La psicologia è stata definita per molto tempo "come scienza del comportamento dell'uomo e degli animali", ma la parola "comportamento" è ambigua, se non si ricorre alle definizioni rigorose di Watson e dei suoi seguaci, perché il senso comune può attribuirle quei connotati intenzionali che esso sembra assumere nella vita quotidiana e che rimandano ad una dimensione "interna" e significativa. Del resto, anche tra gli studiosi la questione non è stata mai del tutto chiarita. Il comportamento, si legge in un manuale, deve essere inteso come: "l'attività di modificazione del rapporto con l'ambiente: ad esempio le risposte muscolari, ghiandolari dell'individuo agli stimoli esterni e le azioni finalizzate intenzionalmente al raggiungimento di uno scopo; -le motivazioni di detta attività, cioè le percezioni, le cognizioni e gli stati affettivi che concorrono a costituire l'esperienza interiore" (Pedon, 1988, p.12). Interno ed esterno, psiche e soma sono compresi nella competenza di una disciplina che, per essere così definita, non può che lasciar adito ad equivoci e ad attese sproporzionate alle risposte. In realtà, la psicologia, come qualsiasi altra scienza, ha dovuto porsi pesanti limitazioni nell'affrontare lo studio dell'esperienza umana e la prima di queste limitazioni è stata la rinuncia al significato, radicata nella sua stessa fondazione come impresa scientifica. In questo libro si cercherà di ripercorrere e di analizzare le ragioni di tale rinuncia e le opposte ragioni degli psicologi che, soprattutto nell'ultima generazione, hanno tentato di riproporre "la ricerca del significato" come tema specifico della psicologia. L'intento è di mostrare come questo programma di ricerca nasca dal fondamentale rifiuto della tradizione e da una decisa presa di posizione che può finalmente sciogliere l'ambiguità e i fraintendimenti circa l'oggetto della psicologia e le possibilità di conoscenza che essa può consentire. I protagonisti di questa "rivoluzione" si riconoscono in un epistemologia e in una concezione del mondo antitetiche a quelle del naturalismo, da cui aveva preso le mosse la scienza psicologica alla fine dell'Ottocento, anche se le idee cui il nuovo corso si ispira non sono del tutto nuove, ma riprendono, anch'esse, una profonda tradizione culturale. Si tratta, in ogni caso, di modi diversi di fare scienza, di modi diversi di pensare. "Questi due modi di pensare – scrive Bruner (1986, trad. it., p.17) - pur essendo complementari, sono irriducibili l'uno all'altro. Qualsiasi tentativo di ricondurli l'uno all'altro o di ignorare l'uno a vantaggio dell'altro produce inevitabilmente l'effetto di farci perdere di vista la ricchezza e la varietà del pensiero". La presentazione di queste nuove tendenze in psicologia terrà conto di questa impostazione del problema, suggerita da Bruner: la radicale diversità delle prospettive deve essere mantenuta per conservare il senso più autentico e profondo delle proposte conoscitive; tuttavia sarebbe sviante leggerle soltanto come poli di un'opposizione che deve lasciare sul campo un vinto e un vincitore. Ogni rivoluzione nella storia della cultura può essere meglio compresa se si tiene conto che la realtà da cui si discosta, in quanto considerata insoddisfacente, è la stessa realtà da cui essa prende nascita. E che ogni conoscenza sull'esperienza umana, se non è ideologica, ha bisogno di confrontarsi con una molteplicità di prospettive. Questa, in ogni caso, sembra essere la situazione attuale della psicologia. Da una parte essa appare ancora profondamente lancorata al paradigma naturalistico che vede la realtà come una compatta e regolare presenza esterna all'osservatore, dall'altra questa posizione epistemologica è stata scossa dalle fondamenta in seguito all'affermarsi dei paradigmi costruttivistici che mettono in questione l'oggettività del mondo e richiamano la presenza attiva dell'osservatore in ogni processo di conoscenza. Le conseguenze di questo scontro sono ancora imprevedibili, ma non si può considerare l'opposizione alla stregua di tante altre che la storia della psicologia ha già sperimentato. Non si tratta, infatti, di divergenze tra questa e quella scuola, di differenti teorie su alcuni argomenti o aspetti dell'esperienza. In questo caso l'opposizione investe il modo fondamentale di concepire la conoscenza e gli stessi oggetti di studio. Il paradigma naturalistico, coerentemente alla sua visione della realtà come datità esterna, adopera metodologie misurazionistiche che costringono i fenomeni psicologici a diventare "cose" osservabili e le persone "organismi" assoggettati a leggi di funzionamento. L'ordine dei significati, in questo paradigma, è preventivamente stabilito dalle teorie e il traguardo dell'oggettività costringe a rifiutare come inquinante qualunque visione soggettiva. La psicologia costruttivistica si pone in una prospettiva radicalmente diversa. La realtà perde la sua compattezza e diventa il risultato dei processi di significazione operati dalle persone nell'incontro intersoggettivo, il luogo ideale di convergenza dei diversi punti di osservazione. L'obiettivo della ricerca psicologica, quindi, non è più la registrazione fedele e spassionata dei fenomeni, ma l'interpretazione dei significati personali e sociali. Questa psicologia riconsegna, in definitiva, i suoi diritti alla soggettività e al vissuto, senza voler rinunciare al rigore della conoscenza. Pur comprendendo indirizzi diversificati nei temi e nelle impostazioni, possiamo connotarla, nel suo insieme, come psicologia del significato, perché si oppone a quella tradizione scientifica della psicologia che del significato aveva decretato l'esclusione. Ciò che propone è un paradigma veramente alternativo (Hoshmand, 1989), in cui le scelte epistemologiche dichiarate nelle premesse diventano matrici di una metodologia altrettanto alternativa. Al posto della neutralità asettica del ricercatore e delle situazioni standardizzate, assume un ruolo centrale il linguaggio espressivo e spontaneo e il contesto di vita in cui si svolgono le indagini. La ricerca si sposta dal laboratorio alla vita quotidiana (Gergen e Semin, 1990; van Manen, 1990), a quel "mondo-della-vita" che già Husserl indicava agli psicologi come loro naturale territorio. Attualmente molta della psicologia che si oppone alla tradizione naturalistica si definisce o viene definita come post-moderna (Kvale, 1992; Mecacci, 1999). Con questo termine ci si riferisce, più in generale, a tutte quelle correnti culturali (artistiche, filosofiche, scientifiche) che riconoscono l'insufficienza del pensiero "moderno" nel rendere conto della condizione umana e attribuiscono il fallimento a un eccesso di razionalismo, alla fiducia cieca e totalizzante nella scienza e nel progresso cumulativo delle conoscenze. Contro queste istanze il post-modernismo esercita la sua critica corrosiva, rivendicando la possibilità di una conoscenza priva di fondamenti certi e assoluti, la molteplicità delle prospettive, la costruzione sociale dei saperi. L'impostazione condivisa da quasi tutti i movimenti post-moderni finisce per sgretolare il concetto stesso di realtà che aveva sorretto le imprese conoscitive dell'epoca moderna, mettendone in dubbio la consistenza ontologica fino agli esiti più radicali e nichilistici. Il post-modernismo rischia però la più pericolosa delle contraddizioni interne quando si presenta come unica possibilità di conoscenza o come soluzione totale ai problemi conoscitivi. Anche per questo si è preferito non riferirsi a questa espressione, sempre più diffusa e ripetuta, perché l'interesse qui è rivolto in modo specifico al significato, che non è né antico, né moderno, né post-moderno, ma è l'interrogazione che attraversa tutti i nostri saperi sul mondo e su noi stessi. Con il termine "psicologia del significato" vogliamo comprendere perciò tutte quelle proposte che si sono succedute nella storia della psicologia, a volte in sordina, a volte con maggiore impatto, accomunate dal rifiuto del naturalismo e dal progetto di interrogarsi sull'esperienza umana. Ciò che è in gioco, nell'attuale panorama scientifico della psicologia, non è il modo migliore per averla vinta, e tanto meno una risposta definitiva, ma la possibilità (o la necessità) di riportare al centro del campo questa interrogazione. La psicologia, questa è la tesi sostenuta, non può abdicare a questa interrogazione per cederla ad altri campi del sapere considerati meno scientifici. Non può, se non vuol perdere la sua identità, rinunciare al significato. "Se c'è una cosa che va fatta in modo antropologico, avvertiva Binswanger (1936, p.189) tanti anni fa, questa cosa è proprio la fondazione della psicologia". Oggi molti sembrano finalmente dargli ragione. Quando si parla di significato, la psicologia ha, o dovrebbe avere, una posizione preminente e decisiva tra le scienze contemporanee. Per tale compito può diventare essenziale trovare le basi condivise e le comuni finalità tra scuole e correnti che si muovono in una direzione d'indagine rigorosamente indirizzata all'esperienza umana e ai suoi significati. Il progetto comporta l'assenza di vie già segnate e la responsabilità di indicarle, recuperando magari antiche tracce. Si tratta, per la psicologia, di una navigazione a vista in acque che le sono proprie, ma ancora oscure e sconosciute e per questo ricche di interesse e di promesse.

Il primo capitolo del libro si apre con un'interrogazione sul significato e tenta un'esplorazione dei modi in cui ci si può intendere, nel linguaggio comune e in quello degli esperti, quando si usa questo termine. Si prendono in considerazione diverse accezioni di "significato" e si chiarisce in che senso se ne parla qui. Si analizzano, quindi, alcuni tentativi della psicologia di affrontare il significato in termini quantitativi, rilevando il contro-senso di tali operazioni. Si valutano, infine, gli spazi e le direttrici di altre possibilità di ricerca. "Le promesse e i limiti della psicologia naturalistica" è il titolo del secondo capitolo, che affronta le sorti del significato in psicologia, attraverso una sintetica rassegna di alcune correnti e scuole che hanno caratterizzato un secolo di storia della disciplina. L'atteggiamento naturalistico verso il significato è rappresentato esemplarmente nelle decisioni di Wundt all'atto della fondazione della psicologia , nella svolta watsoniana, nelle complesse riflessioni di Freud, nello studio scientifico della personalità, e, infine, nei modelli della mente cognitivisti. Il terzo capitolo presenta l'alternativa alla psicologia naturalistica connotata come "psicologia del significato". Il fondamento dell'alternativa è individuato nella profonda svolta epistemologica inaugurata dalla fenomenologia husserliana, ripresa, pur con notevoli diversità, dagli orientamenti costruttivisti e costruzionistici e da alcune recenti proposte nell'ambito delle scienze cognitive. L'idea di fondo di questo capitolo è che l'antitesi tra psicologia naturalistica e psicologia del significato non coincide con la dicotomia che separa una psicologia scientifica da una che, invece, non lo è. Il criterio che le distingue, infatti, si pone prima della definizione di scientificità e, al momento, esso offre, nel primo versante, la relativa sicurezza di una tradizione teorico-metodologica, nel secondo versante lo spazio più incerto, ma più vitale, della possibilità.


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