Circolo di Fenomenologia e Costruttivismo


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La virtù del linguaggio

tratto da un gruppo di manoscritti pubblicati postumi in Francia nel 1969 e in Italia nel 1984 con il titolo La Prosa del mondo (Editori Riuniti, Milano, p.38 e seg)

Quando qualcuno – autore o amico - ha saputo esprimersi, i segni vengono subito dimenticati; resta solo il senso, e la perfezione del linguaggio è tale da passare inosservata. Ma proprio questa è la virtù del linguaggio: è lui a rimandarci a ciò che significa; si dissimula ai nostri occhi con la sua stessa operazione; il suo trionfo è di cancellarsi e di dare accesso, al di là delle parole, al pensiero stesso dell'autore, in modo che, poi, crediamo di esserci intrattenuti con lui senza parole… Io so, prima di leggere Stendhal, che cos'è un furfante e quindi posso comprendere che cosa egli intende dire quando scrive che il giudice Rassi è un furfante. Ma quando il giudice Rassi comincia a vivere, non è più lui a essere un furfante: è il furfante a essere un giudice Rassi. Io entro nella morale di Stendhal per mezzo delle parole comuni di cui egli si serve, ma quelle parole hanno subito tra le sue mani una torsione segreta. A mano a mano che le verifiche si moltiplicano e che più frecce si stagliano contro quel luogo del pensiero dove non mi sono mai inoltrato prima, dove forse, senza Stendhal, non sarei mai andato, mentre le occasioni nelle quali Stendhal le usa indicano sempre più imperiosamente il senso nuovo che egli dona loro, io mi avvicino di più a lui fino al momento in cui leggo le sue parole nell'intenzione stessa con cui lui le scrisse: Finché il linguaggio funziona veramente, esso non è, per chi ascolta o per chi legge, semplice invito a scoprire in se stesso delle significazioni che vi siano già. E' quell'astuzia con la quale lo scrittore o l'oratore, rimuovendo in noi queste significazioni, conferisce loro dei suoni sconosciuti e che dapprima appaiono falsi o dissonanti; in seguito ci fa aderire così bene al suo sistema d'armonia che ormai lo consideriamo nostro. Allora tra noi e lui non ci sono più solo puri rapporti da mente a mente. Ma tutto ciò è cominciato con la complicità della parola e della sua eco, o, per usare un termine forte che Husserl applica alla percezione dell'altro, con l'accoppiamento del linguaggio"


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